Advanced Marketing, Business development

Il
fast
casual
è
morto
con
il
Coronavirus.
Cosa
ne
sarà
della
ristorazione?

Giuseppe Adelardi 21 ottobre 2020

Questo approfondimento segue una serie di riflessioni più ampie che abbiamo pubblicato, durante le quali si sono indagati i movimenti e cambiamenti ai quali il nostro settore sta assistendo. Abbiamo voluto condividere con il mondo dell’imprenditoria italiana la nostra esperienza e visione, augurandoci di stimolare ogni operatore del settore ad avere una visione strategica. Oggi approfondiamo l’evoluzione che vediamo possibile per il mondo della ristorazione e – in conseguenza – di tutta la filiera di fornitori (agenti di commercio, distributori e produttori). Ci fermeremo, per ora, all’analisi del segmento italiano che vale(va) da solo 86 miliardi di euro nel 2019 (senza considerarne la filiera). Se si considera infatti anche l’acquisto di materie prime vanno aggiunti ulteriori 20 miliardi di euro, con un valore aggiunto di 46 miliardi di euro creato dai ristoratori. Questo porta il segmento a valere ben il 34% dell’intera filiera agroalimentare italiana.

Ecco perché partiamo dalla ristorazione per concretizzare la nostra visione dei prossimi accadimenti volendo – attraverso le nostre analisi – fornire a tutti gli imprenditori del settore uno strumento che possa aiutarli nella pianificazione dei prossimi mesi. Per noi una ristorazione sana, che pianifica, coesa e che riesce ad avere una visione d’insieme e di prospettiva significa la salvezza del settore agroalimentare italiano.

D’altronde noi di IDEA Food & Beverage siamo nati proprio dalla ristorazione: 10 anni fa abbiamo compiuto il “salto” da operatori del settore a consulenti. Prima per la ristorazione, poi per i produttori e poi tornando nuovamente parzialmente nella ristorazione grazie all’avvento del segmento fast casual e l’espansione a retail dei concept, evoluzione che ha permesso ad agenzie di consulenza strategica di tornare sostenibili economicamente per queste realtà.

Questo in anni in cui il consumo del food fuori casa era – fino a Gennaio 2020 – un trend decisamente crescente (+5,7% in dieci anni, per un valore di quasi 5 miliardi di euro). Si susseguivano studi e analisi di come sempre più lo stile di vita frenetico e decentrato rispetto alla famiglia stesse stimolando i clienti a diminuire i consumi casalinghi (-8,9 miliardi di euro in 10 anni), si supponeva addirittura la scomparsa delle cucine dalle nuove abitazioni. La ristorazione sempre più organizzata – unita alla crescita del food delivery, che nel 2019 ha segnato un sorprendente aumento del 56% – rappresentava uno dei comparti in maggiore crescita. Una crescita della quale era oggettivamente difficile vedere una fine e che sembrava avrebbe plasmato le abitudini delle prossime generazioni è stata bruscamente interrotta.

All’interno di questi trend il solo fast casual (l’evoluzione del fast food, che ha aggiunto l’elemento “qualità” alle basi fondanti del fast food: velocità e prezzo), valeva il 3% della crescita negli Stati Uniti, e iniziava a stabilirsi anche nel nostro paese in risposta alle abitudini dei clienti in decisa evoluzione. Velocità di consumo, attenzione alla creazione di un sistema di lifestyle intorno al brand suffragato da scelte etiche e di benessere, prezzo concorrenziale, spazi dinamici e ristretti, tecnologia e innovazione, monoprodotto, affinamento della logistica e dell’approvvigionamento di materie prime: questi i principali asset di questo tipo di ristorazione. Asset che sono stati totalmente compromessi dall’avvento di COVID-19.

La ristorazione tradizionale stava scomparendo

Il casual dining, la ristorazione tradizionale, stava progressivamente diventando irrilevante schiacciata da fine dining e fast casual: a partire dalle grandi città i clienti – sempre più di fretta e sempre più polarizzati – abbandonavano la classica trattoria ed osteria optando per locali che offrivano: un’esperienza caratteristica e capace di creare elevato valore aggiunto, un monoprodotto che limitava la fatica in fase di scelta da menu, una velocità nel servizio che limitava lo spreco di tempo, un prezzo concorrenziale che liberava economie per altri aspetti. Di contro, chi cercava qualità preferiva optare per l’elevata qualità dedicando saltuari (ma intensi) momenti di piacere al fine dining. La ristorazione non era più, dunque, uno dei momenti della giornata-tipo dell’italiano. Era diventata un servizio necessario (fast casual: pranzi di lavoro, cene veloci) o una destinazione-meta (fine dining).
In questo contesto i ristoranti basati su vecchi modelli entravano in difficoltà dovendo competere sul prezzo e dunque si vedevano costretti ad abbassare la spesa sul personale, qualità delle materie prime, materiali di servizio perdendo di conseguenza l’ultimo fattore competitivo loro rimasto rispetto al food retail: ovvero la propria autenticità.

E adesso, cosa ne sarà della ristorazione? Addio fast casual.

“Il problema non sarà riaprire, ma riempire.” – dice il grande Ferran Adrià.

Quanto avvenuto in questo inizio 2020 rappresenta uno spartiacque che non è possibile ignorare. L’intero mercato mondiale vedrà dinnanzi a sé un panorama che nei prossimi 12-24 mesi sarà profondamente differente: non potremo aggregarci in spazi ristretti, in molti lavoreremo da casa senza raggiungere gli uffici, eviteremo i mezzi pubblici, perderemo parte del piacere dato dallo stare al ristorante in compagnia di altre persone, gli orari di pranzo e cena saranno spalmati durante tutta la giornata e serata, il rispetto delle norme igieniche avrà un ruolo prorompente, i prezzi – conseguentemente a tutti questi aspetti – lieviteranno. Tutto questo comporta la formale fine del segmento del fast casual.

Prezzo e velocità come fattori competitivi infatti perderanno, rispettivamente, la possibilità di esistere (impossibile mantenere costi bassissimi con l’aumento delle spese per materie prime, approvvigionamento e rapporto numerico lavoratore/cliente) e la propria centralità nella vita del potenziale cliente, il quale dovrà abituarsi a orari dilatati.

E per quanto riguarda la qualità?

I nuovi retail del food & beverage facevano della qualità il proprio fattore competitivo rispetto alle catene fast food: rispetto dell’ambiente, healthy food, rispetto del mondo animale, rispetto della filiera, lavorazione in-loco delle preparazioni, cucina a vista per dimostrarlo e acquisto di materie prime di maggior qualità. Tutti questi elementi nascevano dal bisogno del cliente di emancipare le proprie abitudini rispetto al consumo veloce e poco salubre permesso dalle grandi catene, raggiungendo una diversa maturità e sostenibilità (e rispondenza ai propri valori) della ristorazione nella vita di ognuno.
Ma anche questo ultimo baluardo del fast casual capitolerà per via della nuova configurazione del mercato in cui ci troveremo. I bisogni dei clienti sono già cambiati, sono bastati due mesi: sono diventati più concreti, istantanei, immediati e meno aulici.

Infatti l’aumento del consumo casalingo, la riscoperta delle ricette della tradizione, la riscoperta dell’acquisto presso il dettagliante, l’impossibilità di aggregarsi e la conseguente preparazione casalinga della “schiscetta”, la minor rilevanza del fattore temporale per coloro che decideranno di mangiar fuori (se mangi fuori a pranzo, lo farai con meno fretta per via delle complessità di servizio; se mangi fuori a cena, ti prenderai il tuo tempo perché non avrai l’aperitivo con gli amici prima di cena, né il party dopo cena) anestetizzeranno anche il vantaggio competitivo che il fast casual aveva rispetto al fast food in termini di qualità.

Prevediamo nel prossimo periodo una polarizzazione del mercato importante:

1)Ritorno al fast food (per mezzo di delivery, vending machine e ATM, drive-in, consumo a turni e veloce all’interno del punto vendita con basso valore aggiunto e alta automazione) per coloro che hanno bisogno di velocità, praticità e risparmio;

2)Segmento fast food che si sposterà verso modelli più sostenibili ed healthy di consumo per coprire le nicchie lasciate dal fast casual;

3)Mantenimento del ruolo del fine dining come destinazione-meta ed esperienza unica;

4)Ritorno alla qualità e salubrità autentiche e familiari (famigliari) date dai casual restaurant che dovranno però creare un modello di business totalmente nuovo;

5)Fiorire delle dark kitchen che consentiranno – insieme ai servizi di food delivery – di raggiungere a casa (o in ufficio) i clienti con materie prime di qualità (preparate o non preparate) mantenendo prezzi concorrenziali grazie all’eliminazione del costo della location e affinamento dei costi del personale. Gli esempi dati da 100 Grammi e Gastronomia Firenze rappresentano in maniera perfetta il prossimo trend in questo senso, a cui potrebbero aggiungersi servizi come Marley Spoon basati su box a prezzo fisso e, perché no, consegnate anche in seguito a sottoscrizione di abbonamento.

Similare a Marley Spoon è Blue Apron, che è letteralmente rinata negli Stati Uniti in seguito all’emergenza avvenuta. L’idea è quella di fornire ai clienti meal-kit e anche le istruzioni per la preparazione delle pietanze. Nata nel 2012, in seguito alla crescita del consumo fuori casa che abbiamo descritto precedentemente, la società ultimamente non navigava in buone acque. Negli ultimi mesi però ha visto volare letteralmente le proprie quotazioni in borsa, con una crescita del valore delle proprie azioni del 600%. Di certo un indicatore di quali siano i cambiamenti che si aspettano gli investitori.

Chi riuscirà a leggere correttamente questi cambiamenti avrà possibilità di ricostruire il proprio mercato, adattarvisi, abbandonarlo o crescere in esso. Chi non comprenderà la necessità di cambiare modello adesso, andrà incontro a diverse difficoltà.

 

In questo schema di Giovanni Viani si vede l’evoluzione dei servizi di The Fork e del comparto ristorativo.
Si tratta di uno schema che riesce semplicemente a descrivere l’adattamento che The Fork ha dovuto compiere, ma che anche molti attori della ristorazione sono riusciti a intraprendere. Tutti dobbiamo tenere conto di un procedimento di questo tipo per soddisfare le nuove esigenze del mercato.

Una seconda chance per i ristoranti tradizionali?

È esattamente ciò che prevediamo. Attività che – nel modello valido fino a Gennaio 2020 – erano destinate a scomparire fagocitate dai ritmi frenetici e dai nuovi bisogni, hanno adesso la loro grande chance di riconquistare la propria centralità nel mercato del food & beverage italiano ma, come anticipato, dovranno riuscire a rivedere interamente il proprio modello per adattare i propri elementi di forza strategica al nuovo modo di consumare.

Questo procedimento passa per una fondamentale riflessione: quali sono i punti di forza di queste attività? 

Le cene e i pranzi del weekend avranno una nuova centralità: non saranno più momenti “prima di qualcosa” o “dopo qualcosa”. Saranno il momento centrale di aggregazione con la propria famiglia o con i propri cari. Rappresenteranno l’esperienza che quel giorno si vuole vivere e i ristoratori avranno occasione di fornire questo tipo di momento ai propri clienti.

Perché non formare il proprio staff per poter inviare chef a domicilio a diffondere la propria visione?

Qualità e tempo ritroveranno il loro spazio nella lentezza e nella ri-focalizzazione sul momento. Il cliente – che vivrà più saltuariamente questi momenti ma con maggiore intensità – si ritroverà disposto a spendere di più, a prestare attenzione all’origine della materia prima e al procedimento con cui è stata lavorata. Il valore aggiunto non sarà più dato dal design e dalla forma, ma dall’essenza. Anche la cultura e la formazione troveranno nuovo spazio in un ritorno all’oramai (considerato) sorpassato storytelling. Questa volta però lo storytelling tornerà memore dell’ubriacatura nociva che l’aveva portato al prematuro fallimento: non più favole, ma storie autentiche che lo avvicineranno allo storydoing, facendo fondere queste due entità. Raccontare, dunque, in modo autentico. E coinvolgere.

Fondamentale, quindi, non rinunciare alla qualità, all’aggiornamento, all’innovazione, alla formazione.

Lo spazio (perdonateci il gioco di parole) ritroverà spazio, e ne avrà molto più di prima – per la verità. Il mercato italiano è abituato alla comodità e poesia del consumo nelle vie del centro storico, spesso raggiungibili a piedi. Tra servizio scaglionato, impossibilità di aggregazione, diffidenza rispetto ai mezzi pubblici e minor numero di coperti i clienti ridaranno valore allo spazio e alle distanze. Non sarà più una fatica raggiungere la trattoria o l’agriturismo fuori città che ci offriranno privacy, autenticità, tempo, distanze e spesso contatto con la natura.
Questo potrebbe nel medio periodo perfino portare ad un’espansione dei confini delle cittadine e a una maggiore importanza data alle zone periferiche le quali potranno ritrovare valore e dignità.
Un cambiamento che – paradossalmente almeno in questo aspetto – ci avvicinerà al modo di vivere statunitense.

Scorgiamo dunque proprio nella ristorazione quell’evoluzione della società che tutti sperano di vedere come lato positivo dell’avvento del Coronavirus: una riscoperta di importanti valori, non portata da una sorta di illuminazione ma piuttosto da esigenze specifiche in evoluzione e che, se interpretata al meglio dagli operatori del mercato, può interrompere quella vorticosa rincorsa alla velocità e frugalità che stava asportando dignità all’intero modello di consumo.

E per gli operatori del fast casual?

Riteniamo che anche gli operatori del fast casual abbiano la possibilità di cambiare modello, guardando a questi cambiamenti. Un cambiamento nei bisogni dei clienti necessita di un’evoluzione e il retail della ristorazione ha la struttura e gli strumenti per attuare le evoluzioni necessarie.

Chi già opera nel fast casual deve riconsiderare il proprio business model focalizzando maggiormente su: dilatazione dello spazio, dilatazione del tempo, autenticità, delivery, oppure spostandosi verso il fast food.

Riteniamo che questo passi attraverso la differenziazione, contraria all’omologazione dei punti vendita tipici di questo mercato. Ognuno dei punti vendita ha necessità di essere collocato in maniera univoca, individuando gli elementi caratteristici e particolari che ne possono rappresentare forza e opportunità.

Inoltre, la forza tecnologica ed economica propria di una catena, consentirà all’attività del fast casual di raggiungere i propri potenziali clienti attraverso servizi anche digitali innovativi, oltre che di studiare metodologie per rendere preziosi i momenti di consumo casalingo.

Infine, alcuni punti vendita potrebbero esser riconvertiti a laboratori centrali e/o dark kitchen. Questo libererebbe spazio negli altri punti vendita rendendoli luoghi di consumo e non preparazione.

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La prossima settimana indagheremo l’impatto di questi cambiamenti sull’intera filiera. Iscriviti alla nostra newsletter compilando il box qui sotto per restare aggiornato.

 

Giuseppe Adelardi

CEO di IDEA Food and Beverage, marketing manager e business developer. In base ai dati raccolti dalle nostre analisi di mercato, creo le strategie ed estrapolo i posizionamenti strategici dei nostri clienti. A seguire, a partire dal business plan delle aziende, elaboro il budget e il marketing plan.

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