Advanced Marketing, Business development

La
parola
che
spinge
ad
agire.
La
parola
che
rivela
inadeguatezza
e
menzogna.

Giuseppe Adelardi 20 luglio 2020

Nel nostro ultimo articolo abbiamo citato, in un altro contesto, l’articolo di Annamaria Testa apparso su Internazionale: “Smettiamo di dire che è una guerra”.

Annamaria Testa è uno dei copywriter e comunicatori più esperti, sottili ed efficaci che il nostro paese possa annoverare. Consigliamo a tutti la lettura dei suoi libri, uno tra tutti – per cominciare – “La Pubblicità” (Editore Il Mulino) – che in pochissime pagine diviene un sussidiario utilissimo per chiunque voglia comprendere come comunicare in modo efficace e coerente. Da avere praticamente sempre a portata di mano, non solo per professionisti del marketing ma anche per imprenditori, liberi professionisti, startupper e per chiunque voglia sapere di più in merito alla potenza della parola correttamente usata. Nell’articolo che citiamo si evidenzia quanto la retorica di questi giorni che paragona l’esperienza che viviamo in merito al Coronavirus sia errata e porti a bias cognitivi dannosi.

Oggi abbiamo letto su Corriere della Sera un magnifico approfondimento di Antonio Scurati: “Se le parole adeguate rendono accettabile una realtà terribile”  e dalla sua riflessione, che uniamo ad un’interessante riflessione di Marco Balzano, apparsa sempre oggi su Corriere: “Perché non ci servono eroi” di cui si trova un estratto significativo qui, nasce questo nostro articolo per riflettere sul significato profondo che ha l’utilizzo delle parole sia in forma scritta che verbale. Una parola che può cambiare le cose, una parola attraverso la quale agire.

La parola è infatti capace di modificare i nostri comportamenti, spingerci a rimanere a casa per un mese (oramai celebre il discorso del premier Giuseppe Conte che si è concluso con le parole: “Rimaniamo distanti oggi, per abbracciarci con più calore domani, tutti insieme ce la faremo.”), farci sentire una comunità, darci una prospettiva, dare un significato a rinunce e sofferenze (grandioso esempio il discorso della regina d’Inghilterra Elisabetta: “Chi verrà dopo di noi dirà che i britannici di questa generazione sono stati forti come nessun altro“).

La capacità di usare la parola in modo corretto è indice di adeguatezza, soprattutto. Non solo l’adeguatezza relativa alla preparazione nell’utilizzo della lingua stessa, ma l’adeguatezza nell’affrontare una determinata situazione. L’arte oratoria e di scrittura si possono studiare o perfezionare, ma rimangono uno specchio formidabile della mente che le partorisce e le comunica. Abbiamo infatti visto, restando nella comunicazione politica citata da Scurati, interventi roboanti di leader come Donald Trump e Boris Johnson, dimostratisi incapaci di affrontare in modo adeguato e repentino situazioni che stanno travolgendo la loro nazione o la loro stessa salute. Quei discorsi, che da subito sono apparsi a tutti inadeguati e affrettati, hanno velocemente rivelato l’impreparazione e confusione che ne costituivano la base.

Chi parla, chi scrive, ha il dovere di chiarire prima dentro di sé chi è, cosa vuole essere, a chi vuole parlare, quale obiettivo vuole raggiungere, come lo vuole raggiungere, con quali tempistiche, quali sono le difficoltà che incontrerà, come può superarle, quali non può superare. La parola, quindi, richiede deduzione e verità.

Prima di usarla, chiunque dovrebbe fermarsi a riflettere. Attenzione, non vogliamo dire che solo un’élite possa usare correttamente la parola. Ma che chi si ferma davvero a ragionare prima di usarla, diventa élite.

ragióne s. f. [lat. ratioonis (der. di ratus, part. pass. di reri «fissare, stabilire»), col sign. originario di «conto, conteggio»]. – 1. a. La facoltà di pensare, mettendo in rapporto i concetti e le loro enunciazioni, e insieme la facoltà che guida a ben giudicare, a discernere cioè il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, alla quale si attribuisce il governo o il controllo dell’istinto, delle passioni, degli impulsi, ecc.; può equivalere a giudizio, discernimento, logica. – Treccani.

Per usare efficacemente e correttamente la parola occorre quindi in primis fissare il lògos, ove pensiero e parola si uniscono. Chi non ha chiarezza, non saprà esprimersi correttamente e in modo efficace. Chi non dice una propria verità, potrà comunicare le sue non-verità per un periodo, ma alla fine esse emergeranno. Non citeremo, ma siamo certi che il lettore saprà identificarle, altre personalità che hanno negli ultimi giorni utilizzato delle affermazioni decisamente azzardate le quali da subito appaiono prive di fondamento logico: esse rivelano impreparazione, o menzogna.
Un’impreparazione che non è necessariamente tecnica, ma che può essere relativa al modo di affrontare una determinata situazione.Ogni giorno alle 18 veniamo raggiunti dal bollettino della Protezione Civile che ci aggiorna del numero di nuovi contagiati, nuovi dimessi, nuovi defunti. Il comitato tecnico-scientifico ci dimostra la propria preparazione in materia (compatibilmente con una situazione estremamente complessa), ma dimostra altresì l’incapacità dei tecnici di poter affrontare questa situazione dal punto di vista mediatico e politico. Dati grezzi, forniti giornalmente e senza essere contestualizzati non possono suscitare reazioni coerenti nella popolazione, chiaramente non abituata a gestire statistiche e le aberrazioni delle statistiche stesse.

La parola, per indirizzare il comportamento (e ha la potenza di farlo), deve essere utilizzata in modo corretto e non può essere la sola paura lo strumento. Questo vale per il mondo politico come anche per il mondo aziendale e personale.

In questi giorni i titolari e i manager stanno comunicando al personale e ai partner. Si utilizza la parola per spingere ad un sacrificio, per tenere alto il morale e guardare alla ripresa; si utilizza la parola per dire ai propri stakeholder che ce la faremo, si utilizza la parola per trovare un significato e intraprendere un percorso comune. Chiunque la utilizza deve comprenderne la potenza e i rischi. I rischi dell’utilizzo della parola diventano evidenti in periodi complessi come quello che stiamo vivendo.

Marco Balzano prende le distanze oggi dalla retorica dell’eroismo che viene appioppata agli operatori sanitari. Utilizzeremo il suo esempio per descrivere la minaccia perniciosa insita nell’utilizzo non corretto della parola:

In un portone di un palazzo qualcuno ha lasciato scritto “Grazie agli eroi di questo palazzo” in riferimento a due operatori sanitari che vivono nello stabile. La risposta di uno di essi è stata contraria alle aspettative. È apparso infatti un secondo cartello: “Non siamo eroi, siamo operatori sanitari e ci pagano male.”

Nell’utilizzo della parola è infatti insito il rischio della retorica come luogo comune, della “vaga e artificiosa ricerca dell’effetto”. La parola può rivelare l’inadeguatezza di chi la usa, ma può anche rivelare l’errata concezione di una situazione.

Definire “eroi” gli operatori sanitari, “angeli” i pompieri, definire “guerra” questa pandemia, “bomba atomica” un focolaio di casi e usare altre metafore similari produce un senso di distanziamento dal problema. Chi usa queste terminologie scarica la responsabilità di una soluzione sull’eroe, sull’angelo, sul combattente. Chi usa queste terminologie arreca la causa di una pandemia a una causa di forza maggiore (una guerra, una bomba atomica) senza soffermarsi sulle reali responsabilità o cause. Come dice Balzano, parla senza dedurre.
Invece la deduzione è fondamentale: per capire cosa la popolazione può fare, e cosa è stato sbagliato. Per non commettere gli stessi errori.

Dire che gli operatori sanitari sono eroi significa svincolarci dalla responsabilità che abbiamo. Ogni volta che non rispettiamo il distanziamento sociale, c’è infatti l’eroe che combatterà per noi, per salvare il mondo e i malati. Invece il cosiddetto eroe è una persona come noi, non vuole essere un eroe e non vuole correre i rischi. Non ha scelto di morire e rischiare la morte per noi, nemmeno ci conosce. La nostra responsabilità è perfino maggiore alla sua, invece, in quanto siamo noi a condannarlo a quel ruolo non prestando la dovuta attenzione.

Lo stesso tipo di retorica è rischiosa portando allo stesso tipo di disfunzioni nella comunicazione interpersonale e aziendale.

Definire “famiglia” il personale aziendale è poetico. Ma tu moriresti per il tuo personale come moriresti per tua madre, o stai solamente approfittando di questa metafora? E il personale che legge quella metafora, accorgendosi di questo utilizzo forzato del linguaggio, si sentirà avvicinato a te o si sentirà ingannato dall’utilizzo che ne fai compromettendo la fiducia che ripone nel tuo operato e nella tua sincerità?
La parola, come detto, rivela inadeguatezza e mancanza di verità.

Allora, per comunicare e motivare. Per parlare ai tuoi cari, per parlare ai tuoi collaboratori, per esprimerti fermati prima a riflettere. Ribadiamo:

Chi parla, chi scrive, ha il dovere di chiarire prima dentro di sé chi è, cosa vuole essere, a chi vuole parlare, quale obiettivo vuole raggiungere, come lo vuole raggiungere, con quali tempistiche, quali sono le difficoltà che incontrerà, come può superarle, quali non può superare.

Infatti l’autorevolezza è prima di tutto un esempio, anche nell’esercizio di verità. Impariamo dai poeti: i loro esercizi di verità, spesso, hanno saputo oltrepassare il tempo. E non si dica che i poeti non conoscono le parole!

Solo così l’utilizzo della parola è dignitoso, coerente ed efficace.

Solo così l’utilizzo della parola può motivare a non scoraggiarsi, a impegnarsi di più, a rispettare le restrizioni, a non abbracciare i propri genitori, a non prendere un treno per scappare dalla propria regione, a pagare i fornitori, a impegnarsi per il prossimo.

 

Giuseppe Adelardi

CEO di IDEA Food and Beverage, marketing manager e business developer. In base ai dati raccolti dalle nostre analisi di mercato, creo le strategie ed estrapolo i posizionamenti strategici dei nostri clienti. A seguire, a partire dal business plan delle aziende, elaboro il budget e il marketing plan.

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