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Crisi
come
opportunità:
il
riscatto
della
stampa

Francesca Zanardi 21 ottobre 2021

Lo stravolgimento di questa pandemia potrebbe essere l’occasione per ridare ai mezzi d’informazione il lustro e il prestigio di un tempo.

Recentemente l’umanità è stata scossa da un evento di portata planetaria, causato da un’entità
biologica infinitesimamente piccola ma pericolosa: un virus.
Lo stravolgimento globale, dovuto all’avvento di questa pandemia ha messo a soqquadro le nostre
vite da un giorno all’altro. Oltre ad essere costretti a rivedere le nostre abitudini quotidiane, ci
siamo ritrovati reclusi nelle nostre case con molto tempo a disposizione.

La voglia di comunicare con l’esterno e la volontà di capire cosa stia succedendo, ci hanno riavvicinato al mondo dell’informazione; stando a quanto riporta l’osservatorio “Lockdown” di Nomisma, nato in collaborazione con CRIF, in questo periodo di isolamento stiamo dedicando il 46% in più del tempo alla comunicazione e all’informazione
(https://www.nomisma.it/osservatorio-lockdown-ripresa-coronavirus/).

Ad avvalorare questa tesi sul versante online, i dati di AUDIWEB per il mese di febbraio 2020 (http://www.audiweb.it/news/comunicati-stampa/total-digital-audience-Febbraio2020.html), riportano 43,3 milioni di italiani connessi a internet su base mensile, dei quali l’88,1% (38,2 milioni) intenti a consultare notizie e attualità.

Dopo anni di declino, sembrerebbe giunta l’ora della rinascita della stampa, web o cartacea che sia, ma la situazione non è così semplice perché siamo di fronte ad una duplice sfida.

Primo problema: autorevolezza e contenuti

In un momento di fragilità e crisi come questo l’importanza risiede nella capacità di essere autorevoli: saper diffondere notizie utili e verificate, che possano combattere la disinformazione perennemente in agguato.

La digitalizzazione mediatica ha permesso da un lato un aumento della diffusione delle notizie, ma allo stesso tempo ha dato visibilità e potere a delle fonti alternative poco sicure e verificate.

Non essendo più legata a strumenti e infrastrutture fisiche, che richiedevano enormi investimenti, l’informazione si è riempita di attori diversi dai classici giornalisti generando una serie di notizie false e manipolate. Una ricerca del MIT di Boston (http://news.mit.edu/2018/study-twitter-false-news-travels-faster-true-stories-0308) ha dimostrato come le fake news trovino terreno fertile sui social media: la condivisione è maggiore e più veloce rispetto alle notizie vere; questa diffusione virale sarebbe dovuta all’innata preferenza umana verso le novità e gli scoop.

I social network infatti, offrono la possibilità di essere i protagonisti di una scoperta, i primi a svelare una notizia inedita solleticando l’ego di chi diffonde informazioni nel minor tempo possibile, senza verificarne fonti e veridicità.

L’ambito in cui operano queste fonti di disinformazione è ampio e tocca egualmente tutti i settori coperti dalla stampa classica. Come testimonia l’indagine di AGICOM (https://www.agcom.it/documents/10179/18199220/Documento+generico+01-04-2020/47636882-2d30-42dd-945d-ffc6597e685f?version=1.1) l’evoluzione della pandemia nel nostro Paese ha portato ad un aumento esponenziale dei contenuti sul COVID-19, sia da parte delle fonti autorevoli che da parte di quelle non verificate; la produzione e consultazione di fake news, però è diminuita leggermente con l’acuirsi dell’emergenza sanitaria, con un incidenza media giornaliera del 6,1% nel mese di marzo, dimostrando che la popolazione in un momento problematico come quello che stiamo vivendo è più attenta ed in cerca di sicurezze. Inoltre i gestori dei social network, si sono resi disponibili a risolvere il loro problema di trasparenza individuando e bloccando le fake news con bot e algoritmi, come testimonia questo studio prodotto dalla Oxford University e Reuters Institute (https://reutersinstitute.politics.ox.ac.uk/types-sources-and-claims-covid-19-misinformation).

E il giornalismo? Non può limitarsi a guardare, oltre ad avere il compito di produrre contenuti reali e d’interesse per la popolazione, ha bisogno di affermare la propria autorevolezza per riacquisire credibilità e credito.

Esiste un ranking per la Corporate Reputation stilato da Reputation Review, che recentemente ha pubblicato la classifica dei mezzi di informazione più affidabili in Italia, la notizia è stata ripresa giustamente da il Sole 24 Ore (https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-dati-reali-e-fake-news-e-sole-24-ore-quotidiano-piu-affidabile-ADEVPMG?refresh_ce=1), che ha rimarcato la propria autorevolezza come terzo classificato dopo SKY TG24 e Ansa, ma anche come primo quotidiano della lista. L’opportunità quindi che il giornalismo ha, è legata alla credibilità e alla possibilità di far notare la differenza tra la qualità dei contenuti realizzati da professionisti e quelli realizzati da blogger spesso improvvisati: dimostrandosi dinamico e attuale come i social media ma autorevole e produttivo. Mostrare ai lettoriche l’informazione di qualità non è scontata, necessita tempo e ricerca oltre all’abilità di trasformare dati e fatti in contenuti piacevoli da leggere

Ma i rischi in agguato restano molti: primo tra tutti la tirannia dei click. Quante volte scorrendo le pagine dei maggior quotidiani abbiamo trovato in bella vista articoli e video dai contenuti insignificanti? Se i giornalisti non ridurranno i contenuti virali ripresi dai social network, il settore non si eleveràmai e i lettori non capiranno perché dovrebbero pagare per vedere gli stessi contenuti che hanno gratuitamente su Facebook.

 

Secondo problema: immaterialità del servizio e attribuzione di valore

Qual è dunque il giusto prezzo per un’informazione autorevole ed indipendente?

Il nodo della questione è indissolubilmente legato ai social network che sono ricettivi, veloci e soprattutto gratuiti; l’impegno economico infatti sembra pesare nell’approvvigionamento di un servizio immateriale ma fondamentale come l’informazione.

Una recente inchiesta di Repubblica, ha portato la Procura di Bari a sequestrare 19 canali Telegram che diffondevano copie pirata dei maggiori quotidiani italiani (https://bari.repubblica.it/cronaca/2020/04/27/news/copie_pirata_dei_quotidiani_procura_di_bari_sequestra_canali_telegram-254999695/?ref=RHPPTP-BH-I255000396-C12-P11-S1.12-T1), dimostrando che ben 2 milioni di lettori usufruiscono di un servizio d’informazione affidabile ma con modalità illegali di approvvigionamento.

L’utente vuole informarsi ma non è disposto a pagare.

Questo punto genera una serie di fattori negativi che creano un circolo vizioso. Come accennavamo prima, la mancanza di introiti e utili porta ad una svalutazione dei contenuti che scredita il mezzo d’informazione e lo allontana ancora di più dal lettore.

Convincere questi utenti a pagare è la vera sfida da affrontare, perché il rispetto passa attraverso l’attribuzione di un giusto valore, anche per le parole.

Molte testate come il New York Times e Harvard Business Review hanno messo a disposizione gratuitamente l’intera rassegna di articoli legati all’emergenza sanitaria da COVID-19, per richiamare l’attenzione dei lettori e al contempo attuare promozioni ad un prezzo contenuto per stimolarli a sottoscrivere abbonamenti.

Modulare l’offerta potrebbe essere la giusta strategia; offrire diversi tipi di sottoscrizione come un “mini-abbonamento” solo per il weekend, oppure mesi di prova gratuiti abbinati alla fidelizzazione del cliente tramite la selezione di contenuti personalizzati oltre alla garanzia che si offrano notizie certe e verificate, potrebbe attrarre più pubblico, soprattutto in un momento delicato come questo.

Far provare al cliente la qualità dell’informazione professionale con prezzo accessibile, potrebbe convincerlo a non affidarsi ai blog di bassa qualità. Mentre chi si affida a piattaforme illegali dovrebbe esser sensibilizzato, più che visto e trattato come un “nemico” – come un “pirata”.

La lotta delle categorie editoriali è più che lecita, ma è evidente come le vie legali possano poco contro la ramificazione dei canali illeciti, meglio agire sulla domanda facendo capire perché conviene esser corretti.

Aumentare il numero di lettori non è fine a sé stesso, non implica solo la sottoscrizione di abbonamenti ma anche la possibilità di investimenti pubblicitari da parte di aziende che vogliono raggiungere il bacino di utenti acquisiti dal giornale.

Questa potrebbe essere la soluzione per spezzare il circolo vizioso a cui ci riferivamo prima, per le sue applicazioni ora analizzeremo un caso specifico, quello del settore food.

La svolta necessaria: trovare una soluzione per rifiorire, il caso del settore food

La crisi che stiamo vivendo è in prima battuta sanitaria ma i suoi risvolti economici non sono da meno: interi paesi sono bloccati da questa pandemia con drammatiche conseguenze nei vari settori produttivi.

Uno degli ambienti maggiormente colpiti dal lockdown è quello della ristorazione, vediamo ora gli sforzi fatti dalla stampa per diffondere notizie, far circolare e promuovere nuove idee per ripartire.

Propagare la speranza e la voglia di trovare soluzioni alternative, testimoniando gli sforzidi un settore strategico è cruciale in questo momento. Il giornalismo deve tornare a raccontare storie vere, di un Paese come l’Italia che ha un patrimonio enogastronomico unico al mondo.

Provvedere a diffondere le iniziative virtuose è un compito dei giornalisti food, per aiutare il settore mantenendo alte: attenzione, attesa e aspettative. Il grande valore risiede nella ricerca, nell’inchiesta, nell’intervista, nel confronto tra fonti che sono possibili solo con il giornalismo di qualità che viene correttamente remunerato; al contrario il consumo esclusivo di contenuti gratuiti limita questo processo.

Analizziamo alcuni esempi tra i più significativi:

A poche settimane dalla chiusura, in piena epidemia, alcuni giornalisti hanno iniziato a documentare dubbi e preoccupazioni del settore, proponendo le prime alternative alla stretta della quarantena: dal food delivery degli stellati al crowdfunding per sostenere gli ospedali, fino ai live cooking degli chef sui canali social. (https://www.ilsole24ore.com/art/alta-cucina-virtuale-e-domicilio-tempi-coronavirus-ADV4dcC).

L’avvicinamento del pubblico al lato più umano degli operatori della ristorazione è passato per le case degli chef, per le loro cucine, attraverso dirette e riprese amatoriali con i cellulari. L’operazione ha generato empatia verso queste figure professionali: ricordando le gioie che hanno saputo regalarci con i loro prodotti e le loro fatiche.

Uno spunto per trasformare la stima in sostegno economico è dato dai dining bond (https://www.ilsole24ore.com/art/restaurant-bond-come-far-ripartire-ristoranti-i-voucher-ADswmuK),una forma d’investimento che il consumatore può attuare per sostenere le attività durante questa chiusura forzata, usufruendo di sconti e tariffe agevolate per un servizio a posteriori.L’iniziativa nata a New York si è diffusa anche in Italia grazie alla copertura mediatica che ha ricevuto.

Ho letto inoltre, molte interviste a chef prestigiosi che si sono trovati a ripensare i loro modelli di business, di produttori e artigiani costretti a scoprire canali di vendita alternativi per non soccombere. Raccogliere testimonianze dell’incertezza, dei dubbi e delle paure dei colleghi può aiutare i ristoratori a non sentirsi soli, trovando la forza e gli spunti per ricominciare, come nel caso offerto dalla Langosteria di Milano (https://www.gamberorosso.it/notizie/langosteria-una-case-history-anche-ai-tempi-del-coronavirus/) che ha anticipato le mosse del Governo chiedendo agevolazioni e cassa integrazione per i suoi dipendenti prima del decreto Cura Italia ma anche mettendo a disposizione dei prestiti personali ai dipendenti per fronteggiare l’emergenza e mantenere la squadra coesa.

Un’altra opportunità per dare ossigeno, garantire introiti, attuabile nell’immediato è offerta dalle consegne a domicilio; in Italia dall’inizio della pandemia, si è registrata un’impennata del 30% del delivery, compresa l’acquisizione di utenti che non lo avevano mai sperimentato.

Fipe (federazione italiana pubblici esercenti) denuncia però che solo il 14,5% dei ristoranti è attrezzato per le consegne, così per raggiungere il maggior numero di ristoratori e agevolare la transazione verso questo nuovo modello ha messo in campo un servizio online (https://www.ristoacasa.net/).

Molte altre iniziative sui generis sono riportate in un elenco esaustivo di funzionalità, servizi e applicazioni è fornito da questo articolo del Sole 24 Ore (https://www.ilsole24ore.com/art/mycia-foorban-high-quality-food-e-satispay-consegna-cibo-domicilio-diventa-sempre-piu-ricca-e-smart-ADhFeFH).

Questi contenuti sono apprezzabili per il loro sforzo duplice volto a informare il pubblico e al contempo a rassicurare con soluzioni concrete la platea di professionisti operanti nel settore.

In questo modo si ha la possibilità di accedere a diversi tipi di target, con l’obbiettivo di fidelizzare il lettore e contemporaneamente spingere le aziende ad affrontare investimenti, in modo da garantire una base economica che permetta alle testate di operare professionalmente e indipendentemente.

Per concludere, la sfida che questa emergenza sanitaria ha sottoposto ai mezzi d’informazione non è semplice, ma potrebbe essere l’opportunità per poter far rifiorire un settore fiacco ed immobilizzato dalla concorrenza sleale; la difficoltà sta nel comprendere le esigenze del pubblico e rispondere con delle soluzioni concrete e professionali.

 

Francesca Zanardi

Head of Press Office

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